I "nove segni" (Kuji) rappresentano uno degli elementi più affascinanti e misteriosi del buddhismo esoterico giapponese, la cui eco è risuonata anche in Occidente, soprattutto grazie al suo legame, spesso enfatizzato dal cinema, con il mondo del ninjutsu. Ma il Kuji-Hō è molto più di un semplice gesto cinematografico: è un complesso rituale con radici profonde nella storia e nella spiritualità orientale, presente nei manuali tecnici di numerose scuole di arti marziali.
Con diverse interpretazioni e applicazioni a seconda delle scuole e delle correnti di pensiero, lo scopo primario del Kuji-Hō era quello di preparare la mente e il corpo a un evento specifico, offrire protezione, favorire la guarigione o, in alcuni casi, persino invocare la maledizione. Per comprendere appieno la sua ricchezza, è necessario esplorarne le origini e le diverse forme in cui si è manifestato nel corso dei secoli.
La pratica di intrecciare le dita in gesti carichi di significato simbolico affonda le sue radici in tempi antichissimi, manifestandosi in diverse culture in tutto il mondo. In India, nell'ambito induista e buddhista, questi gesti rituali prendono il nome di mudrā. Essi rappresentavano un potente mezzo di comunicazione non verbale, capace di trasmettere concetti complessi e appartenenza a una comunità spirituale.
Questi mudrā, con la loro forte carica simbolica, vennero naturalmente integrati nelle arti performative e nell'iconografia religiosa. In Oriente, la concezione olistica che lega mente, corpo e spirito attribuiva a questi gesti un potere che andava oltre la semplice comunicazione, influenzando persino lo stato interiore di chi li compiva.
È nel daoismo cinese che il Kuji, nella sua forma verbale, inizia a prendere forma. La sequenza completa di nove fonemi compare per la prima volta nel poema daoista "Bao Pu Zi" ("Il Libro del maestro che abbraccia la semplicità"), scritto da Ge Hong (280-340 d.C.). Nel diciassettesimo capitolo, dedicato all'ascensione di montagne e all'attraversamento di fiumi, l'autore introduce queste nove parole come una preghiera rivolta ai sei dèi daoisti (i generali dello yang), con lo scopo primario di invocare la protezione divina contro le forze avverse. La formula recitava: "臨兵斗者,皆陣列前行" (lín bīng dòu zhě, jiē zhèn liè qián háng).
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