In difesa delle tecniche collaborative

Christian Russo • 13 gennaio 2024

Disarmi e non solo nelle arti marziali: tutta fuffa?

Recentemente, la diffusione dei social network ha alimentato un'ondata di critiche costanti e crescenti nei confronti delle tecniche "collaborative" nelle arti marziali - dove uke, ossia l'avversario, non si oppone in alcun modo all'esecuzione di una certa tecnica.
Piuttosto distante da un vero
Dōjō, una vasta platea di spettatori online freme alla pubblicazione di ogni nuovo video.


Ad un osservatore ignaro o magari con un’ottica plasmata dai moderni sport da combattimento, queste tecniche, talvolta anche in “impossibili” disarmi da coltello, devono sembrare una danza, un esercizio irrealistico e fine a se stesso, quando non una vera e propria truffa

Da qui la smitizzazione delle arti marziali tradizionali, già in corso per molte ragioni diverse, prende quota quasi inevitabilmente. 


Da quando le arti marziali sono state traslate in Occidente, l’ “occhio” di molti nuovi praticanti non potè che porre e porsi mille domande, mettendo alla prova e smontando letteralmente tutto ciò che veniva proposto da quei maestri che, invece, mai si sarebbero sognati di contestare, mettere in dubbio o persino interrogare coloro i quali li avevano istruiti. 

Così, tra chi si approccia a queste particolari discipline, possiamo oggi rinvenire due atteggiamenti antitetici: i fideisti - coloro i quali cioè ripropongono l’atteggiamento acritico verso qualunque proposta arrivi da Oriente (o da una figura di riferimento); gli scettici - chi non vede l’ora di poter contestare ogni singolo aspetto di quelle stesse proposte, magari in favore dell’MMA di turno. 


Come praticante di Jūjutsu, ho una lunga esperienza con quelle stesse tecniche incriminate. Tuttavia, mi distacco dall'idea di difenderle incondizionatamente, soprattutto quando vengono presentate da alcuni come l'unico elemento della loro pratica, o come soluzioni magiche efficaci in ogni situazione.


Ma fermiamo, solo per un attimo, le bocce. 

Il Dōjō è un laboratorio. 

Eseguire tecniche con un uke collaborativo è lo strumento didattico principale e di base per apprendere i movimenti corretti, respirando bene, lungo direttrici esplicite e pulite, riuscendo ad attivare le giuste catene cinetiche e garantendo al tempo stesso l’incolumità, ogni sera, di entrambi i praticanti. 


Applicare leve e torsioni articolari su arti sguarniti di quella tensione muscolare che le renderebbe inefficaci permette di studiare il funzionamento, la biomeccanica, del corpo umano in maniera cristallina. 


Un uke che ci attacca con un coltello ci sta dando la possibilità di gestire una distanza ora differente, costringendoci a prestare un’attenzione aggiuntiva - ad un elemento esterno nuovo e pericoloso - e, pur in questa inedita condizione, indirizzandoci a mettere in gioco la nostra competenza e capacità di adattamento al nuovo scenario.


Quando l’uke passa dall’aggredirci con un coltello a farlo con un bastone corto, poi poi con uno lungo, con una spada (!), e nel caso della nostra pratica persino con frecce e shuriken, ecco che lo studio, l’apprendimento e la sperimentazione si completano ulteriormente. 

Nelle arti marziali il percorso dovrebbe contemplare e integrarsi con una graduale perdita dell’uke (traduzione: ricevente) della sua natura collaborativa rendendo la dinamica “più” vicina alla realtà, in cui cogliere momenti di rilassamento di un settore del corpo dell'avversario o indurli attraverso una qualche tattica, al fine di applicare la tecnica. Ciò equivale alla realtà di uno scontro con un aggressore? Ovviamente no. 


Tutto questo -lungo- percorso è quindi inutile al fine della difesa personale o del combattimento? La risposta è no, ma dipende da quale sia il focus. Il percorso consente a, è bene ricordarlo, dei civili, di migliorare la gestione corporea, di incrementare le proprie possibilità, di imparare a gestire situazioni fisiche e psichiche di stress ed emozioni poco sperimentate, in un ambiente controllato.
Avanzando su questo lungo percorso questi stessi praticanti saranno in grado di difendersi in una situazione reale grazie a ciò che hanno imparato sul
tatami? Dipende.


Le Arti Marziali non danno risposte universali o facili soluzioni, applicabili da chiunque in qualunque contesto (come credo non lo diano il darsi botte da orbi in una gabbia). 

Per quello ci sono i corsi mordi e fuggi… e gli insegnanti ignoranti o disonesti.

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